L’India aborigena ha sempre suscitato un vivo interesse tra gli etnologi, preoccupati di scoprire chi furono i primi abitanti di questo territorio prima dell’arrivo dei Caucasici (Ariani) dell’Asia centrale più di 2.000 anni fa. È generalmente accettato il fatto che gli abitanti originari dell’India facessero parte di tribù che gli invasori ricacciarono verso le regioni più inospitali, quando le colonizzarono. Conducendo un’esistenza isolata, le tribù del Centro e dell’Est hanno potuto conservare per lungo tempo il loro modo di vivere. È solo recentemente, con l’apertura delle frontiere commerciali e l’implementazione di piani di sviluppo governativi che queste tradizioni stanno cominciando a sparire. Tuttavia alcune tribù Bonda, Gadaba e Koya, seminomadi dell’Orissa che praticano la coltura ‘taglia e brucia’, restano ancora legati ai loro costumi tradizionali.
I Bonda (o Bondos) si designano essi stessi come Remo, che significa “uomini”. Gli etnologi ne hanno fatto l’esempio rappresentativo del ceppo austro-asiatico della razza indiana. Abitano le regioni montuose a nord-ovest del fiume Machkund e si distinguono dalle altre tribù dell’Orissa per la loro lingua, i loro costumi, ma più in particolare per la loro forte inclinazione ai combattimenti mortali.
Le origini e la filiazione dei Bonda sono oscure. Se crediamo alla loro mitologia, essi discendono da uno dei dodici fratelli gadaba (un’altra etnia alla quale sono spesso associati), nato sulle rive del fiume Godavari e poi partito per sistemarsi sui monti Jeupore dell’Orissa. In realtà si pensa che appartengano al grande gruppo austro-asiatico che, durante il periodo neolitico, ha sviluppato una cultura avanzata e complessa. Quest’ultima si caratterizza per il culto delle divinità in pietra (erezione di megaliti a forma di menhir, cerchi di pietra e dolmen), la cultura del riso in terrazze irrigate, la domesticazione del bestiame destinato all’abbattimento e ai sacrifici e infine, all’arte della tessitura.

Geograficamente i Bonda si suddividono in tre gruppi: i Bara-jangar, i Gadaba Bonda e i Bonda delle pianure. I primi sono considerati come i “puri” Bonda.
Essendo venuti in contatto con gli Induisti da molto tempo, il terzo gruppo ha cominciato a rinnegare tutte le caratteristiche della loro cultura suscettibile di incoraggiare il disprezzo dei loro vicini. Per questo motivo i due gruppi delle montagne disprezzano quelli delle pianure e i matrimoni tra questi gruppi sono perciò rari. Nonostante i continui conflitti, nessun muro né palizzata proteggono i villaggi bonda. Ognuno di essi presenta una piattaforma megalitica, chiamata sindibor che costituisce il centro della vita sociale e religiosa, vicino al quale si trova il santuario, hundi, dedicato ad una divinità.
La casa bonda è indipendente. Ogni famiglia dispone di più capanne dove vivono i parenti, i figli sposati e a volte altri membri della famiglia. La tettoia sotto la quale le persone si siedono per lavorare e discutere e il fienile, costituiscono i due elementi principali della casa.
I muri sono fatti di fango e dei pilastri in legno sostengono un tetto di erba. La costruzione dell’edificio, leggermente sopraelevata per non far passare la pioggia, comincia sempre con l’erezione del pilastro centrale attorno al quale i Bonda fissano una foglia di mango, per “attirare i morti e gli dei”. La veranda è generalmente il luogo dove si macina e si spula il grano, dove si pulisce il riso e il miglio e dove si tessono i tappeti.
La struttura esogamica della società bonda presenta tre livelli diversi: il villaggio, il gruppo totemico (bonso) e il clan. Il villaggio rappresenta uno spazio sacro, i cui limiti sono protetti da riti magici.
Gli uomini considerano le donne del villaggio come delle “madri” o delle “sorelle”, con le quali tutte le relazioni amorose sono vietate. I Bonda sostengono che si devono sposare persone che appartengono a sindibor diversi e che mangiano un altro alimento soru (insieme del cibo preparato specialmente per le feste e le cerimonie rituali).
I Bonda delle montagne si raggruppano sotto due grandi totems: i Cobra i la Tigre, mentre quelli delle pianure sono il Sole, la Scimmia, il Pesce e l’Orsa.
I Bonda intrattengono una relazione particolare con i membri dei loro villaggi o quelli dei villaggi vicini. È una forma d’amicizia rituale, chiamata moitur. Gli amici rituali devono sempre sostenersi l’un l’altro.

La dipendenza economica dei Bonda con l’esterno è molto limitata. In effetti essi fabbricano tutto ciò di cui hanno bisogno, tranne alcuni utensili da cucina, dei contenitori e dei gioielli in cuoio o di perline che comprano. Essi tessono la maggior parte del loro abbigliamento, distillano l’alcol e coltivano il tabacco. La caccia è stata abbandonata e l’arco e le frecce che ancora portano gli uomini sono diventati dei simboli.
Come in tante altre società, le donne sono quelle che hanno la maggior parte dei compiti. Oggi l’economia bonda si basa principalmente sull’agricoltura e l’allevamento di bovini, capre, galline e galli.
I Bonda praticano tre tipi di sfruttamento del suolo. I versanti ripidi sono riservati alla coltivazione itinerante. Più in basso si coltivano cereali su terreni lavorati e infine, i campi irrigati e terrazzati sono destinati alla coltivazione del riso. L’aumento della popolazione e il disboscamento della regione, stanno rendendo la coltivazione itinerante sempre più difficile.
La cultura itinerante si fonda su delle pratiche semplici che cominciano in marzo dopo una cerimonia celebrata dal prete. All’inizio, gli uomini e le donne cominciano a disboscare e a tagliare tutto eccetto gli alberi da frutta. La vegetazione tagliata viene bruciata e le ceneri sono sparse sul terreno. Preceduta da offerte di pesce e riso alla divinità delle radure che assicurano la fertilità del suolo, la semina comincia solo dopo le piogge. Il primo anno, si seminano il maggior numero di cereali possibili, ma si riserva il miglio per l’anno successivo. Il terzo anno, i Bonda dicono che “la terra produce quello che vuole” e quindi la semina è meno importante.
La roccia e la pietra hanno un peso considerevole nella cultura bonda. I villaggi sono spesso costruiti in mezzo alle rocce e la pietra. La pietra è un simbolo fondamentale nei rituali bonda. Il sindibor¸ è un cerchio di pietre votato al culto della terra. Le pietre che si trovano ai lati di tutti i sentieri hanno lo scopo di neutralizzare gli spiriti maligni, simboleggiano le divinità.
I Bonda credono all’esistenza di un essere supremo, il cui nome in sanscrito Mahaprabhu significa “grande signore”, sarebbe legato a quello di Chaitanya, il fondatore di un ordine religioso hindu in Orissa. Alla fine della sua vita, quest’ultimo si sarebbe recato a Puri, luogo di pellegrinaggio, dove si trova il tempio del dio Jaganah.

Il culto del dio Jaganah è un elemento fondamentale per comprendere il mondo dell’Orissa. All’origine si pensa che questa divinità fosse venerata dalle tribù saora e che abbia raggiunto il tempio attuale per ordine del re di Puri. Il termine mahaprasad¸ con il quale si designa l’amico rituale, significa d’altronde “quelli che hanno condiviso il cibo sacro presentato come offerta al dio Jaganah”. Sapendo che la cultura oriya (gruppo etnico dominante dell’Orissa) ha esercitato un’influenza considerevole su quella dei Bonda, non è sorprendente che questi ultimi abbiano integrato dei termini oriya nelle loro preghiere e formule magiche, pensando che le divinità saranno più clementi se i loro nomi saranno invocati nella lingua di una “cultura superiore”.
Tuttavia, i Bonda non attribuiscono il nome Mahaprabhu al dio Jaganah, ma al Creatore, cioè al Sole. Per designare il creatore del mondo, la lingua bonda usa anche il nome composto Singi-Arke (Sole e Luna).
Secondo il mito bonda, all’inizio, il mondo non esisteva. Poi un giorno, Mahaprabhu l’ha creato. Una tartaruga ha ingoiato lo sputo che l’ha fecondata. Impietosito per le sorti del povero animale che non riusciva a partorire e che non poteva più muoversi a causa del grosso ventre, Mahaprabhu fece un buco nel carapace e fece uscire una bambina. Una volta cresciuta, essa domandò alla tartaruga il nome di suo padre e l’animale le rispose che si trattava di Mahaprabhu.
La ragazza andò allora a cercarlo e lui negò il fatto ma accettò di tenerla con sé. Qualche anno più tardi, la ragazza cercò di obbligarlo a fare l’amore con lei. Furioso, il dio la uccise con un coltello. Dal suo sangue nacque allora la terra, dall’occhio destro il sole e dal sinistro la luna. Il suo scheletro formò le montagne e i suoi capelli si trasformarono in legumi. Infine, Mahaprabhu fece uscire dal suo ventre un ragazzo e una ragazza che più tardi crearono l’umanità. Il concetto di Mahaprabhu non è l’unica testimonianza dell’influenza dell’Induismo e prove ne è il modo in cui i Bonda spiegano la morte. Essi credono che la vita sia dovuta alla presenza di un’anima, chiamata jimo, deformazione del nome sanscrito jiva.
L’individuo muore quando Mahaprabhu invia i suoi funzionari a portare l’anima nel mondo celeste. Come gli Indù, i Bonda praticano la cremazione.
La ragazza andò allora a cercarlo e lui negò il fatto ma accettò di tenerla con sé. Qualche anno più tardi, la ragazza cercò di obbligarlo a fare l’amore con lei. Furioso, il dio la uccise con un coltello. Dal suo sangue nacque allora la terra, dall’occhio destro il sole e dal sinistro la luna. Il suo scheletro formò le montagne e i suoi capelli si trasformarono in legumi. Infine, Mahaprabhu fece uscire dal suo ventre un ragazzo e una ragazza che più tardi crearono l’umanità. Il concetto di Mahaprabhu non è l’unica testimonianza dell’influenza dell’Induismo e prove ne è il modo in cui i Bonda spiegano la morte. Essi credono che la vita sia dovuta alla presenza di un’anima, chiamata jimo, deformazione del nome sanscrito jiva.
L’individuo muore quando Mahaprabhu invia i suoi funzionari a portare l’anima nel mondo celeste. Come gli Indù, i Bonda praticano la cremazione.
Le donne Bonda indossano un gonnellino molto corto, tessuto da loro e sono a torso nudo, ma il seno viene coperto da tantissime collane di perline che utilizzano anche come copricapo e attorno al collo portano delle grosse collane di metallo. Nei mesi più freddi usano anche una stoffa per coprirsi le spalle.

Anna Canuto
Antropologa e Travel Designer