Gabbiano Livingston

I racconti di viaggio di Anna, alla scoperta di Bali, Sulawesi e Giava [Parte III]

A metà strada tra il Borneo e la Nuova Guinea si estende la massa terrestre con “quattro gambe” di Celebes, che è stata comparata ad un’orchidea o a un ragno, a seconda di chi la guarda.
L’isola si presentò ai primi navigatori Europei con una conformazione così complessa che essi inizialmente pensarono che si trattasse di più isole e il nome al plurale rimase fino all’indipendenza dell’Indonesia quando Celebes fu rinominata come Sulawesi e la sua capitale Makassar, diventò Ujung Padang.

La dorsale montuosa dell’isola rimase inesplorata fino alla fine del ventesimo secolo. Fu solo allora che il popolo Toraja ‘le persone dall’alto’ si rivelò. Essendo diversi etnicamente a qualsiasi dei loro vicini, la loro origine ha fatto sorgere diverse teorie antropologiche, ma quando si chiede agli stessi Toraja da dove vengono, essi rispondono: ‘Prima dell’alba della memoria umana i nostri antenati discesero dalle Pleiadi con delle astronavi’.

Essi costruiscono ancora le lor case con delle forme arcuate come quelle delle navi che li hanno portati sulla terra e i loro riti funebri, hanno lo scopo di ‘lanciare’ le anime dei morti sulle stelle delle loro origini.

Il popolo Toraja, sembra più simile ai Cambogiani o ai Siamesi, piuttosto che ai malesi della costa. Alcuni antropologi ritengono che essi vengano dalla Cina o che siano giunti in barca dalla Birmania o anche dall’Himalaya.

Sembra che i Toraja siano stati cacciatori di teste fino agli anni ’20 del 1900, ma essi erano temuti dai loro vicini, meno per la loro ferocia e di più per la loro magia, parte della quale era la loro reputazione di essere in grado di far camminare i morti. I guerrieri Toraja dovevano morire nel loro Rante, o area del villaggio, affinchè la loro anima tornasse sicuramente verso le stelle. Se succedeva che morissero al di fuori del Rante, allora gli sciamani, ’potevano far rivivere i loro cadaveri abbastanza a lungo da permettere loro di tornare a casa con le proprie forze, anche senza la testa’.

Werner ha sottolineato che nei Toraja possiamo trovare diversi aspetti: erano cacciatori di teste, credevano nella loro origine celestiale, praticavano un megalitismo primordiale, costruivano edifici sofisticati e utilizzavano una lingua scritta (o piuttosto scolpita e scritta) unica. Tutte le case mostrano questi glifi, che assomigliano alle spirali e agli yantra del Tantrismo che raccontano l’intera storia della tribù, del clan e della famiglia.

Presso i Toraja negli anni ’70 esisteva ancora la schiavitù, ma non nella forma che abbiamo imparato nei libri di storia. I Toraja acquisivano gli schiavi come eredità, ma essi erano ‘anime libere’ e spesso diventavano più ricchi dei loro padroni. Un figlio di un nobile aveva uno ‘schiavo’ della sua età a lui assegnato dalla nascita che in seguito andava a scuola con lui a Makassar e qualche volta anche all’Università.

Negli anni ’60 del 1900 il governo ha cercato di ridurre la confusione riguardo le religioni animiste, abolendo la pratica di tutte ad eccezione di cinque religioni ufficiali. Queste erano Islam, Induismo, Buddhismo, Cristianesimo e, poiché Bali era già conosciuta internazionalmente, è stata inventata la categoria della religione ‘Indo-Balinese’. Ciò avrebbe reso la religione toraja illegale se non fosse stato per un giovane ‘schiavo’ Toraja che aveva studiato legge. Egli aveva brillantemente sostenuto che la religione toraja era come ‘l’animismo Indo-Balinese’ e questo ha reso possibile la sopravvivenza della stessa.

Il Sud Sulawesi ospita una pittoresca valle circondata da montagne ricoperte di nebbia. Questa valle si chiama Tana Toraja, o Torajaland, e offre ai visitatori con lo stomaco forte la possibilità di vivere una delle celebrazioni più singolari e strane della vita. La gente di Tana Toraja pratica una complessa cerimonia funebre nota come Rambu Solo che impone che il defunto possa essere seppellito solo durante un certo periodo dell’anno. Per questo motivo, Tana Toraja ha una stagione funebre che va da giugno a ottobre, i mesi più secchi nel Sud Sulawesi. Il motivo è anche dovuto al fatto che un funerale di questo tipo richiede una grande somma di denaro e anche che siano invitati tutti i parenti, vicini e lontani.

Tana Toraja è un mondo strano dove i morti non sono sempre morti. I cari defunti sono semplicemente considerati makula, o malati. Il defunto considerato makula rimane in una bara sigillata e viene tenuta in casa con la famiglia fino a quando non hanno messo da parte abbastanza soldi per organizzare una grande festa di commiato. Ottenere abbastanza soldi può richiedere più di un anno. Fino ad allora, la bara rimane in casa con la famiglia. In passato le famiglie usavano le erbe e il fumo dei fuochi ardenti per conservare i resti, ma oggigiorno la formalina è più comune.

Durante il periodo che precede il funerale, i membri della famiglia portano del cibo al defunto un paio di volte al giorno e parlano con loro come se fossero ancora vivi. Fino a quando il primo bufalo non sarà macellato al funerale, le loro anime non inizieranno il loro viaggio lasciando questa terra. I toraja credono che il sangue debba essere versato sul terreno per facilitare il viaggio di un’anima verso la terra delle anime. Più bufali, più sangue e più veloce è la transizione.

Il giorno del funerale devono essere sacrificati un minimo di 6 bufali d’acqua, ma si può arrivare a sacrificarne anche un centinaio. Il costo dei bufali è piuttosto elevato e ancor di più per i bufali albini che sono una rarità. Questo spiega perché a volte ci vuole un anno o più prima che il funerale possa aver luogo. La città di Rantepao è la capitale di Tana Toraja e una base perfetta per esplorare la valle e partecipare a un funerale.

Dopo il funerale le bare vengono portate, o all’interno di grotte dove sono accatastate una sopra l’altra oppure in cunicoli scavati nelle parti rocciose. Il villaggio di Lemo è uno dei luoghi di sepoltura più famosi. All’esterno dei luoghi di sepoltura, vengono posizionati i cosiddetti tau-tau, delle effigi di legno a grandezza naturale, che sono sistemate su un balcone scolpito nella parete rocciosa. Queste figure rappresentano i morti e mentre nel passato le effigi venivano scolpite in modo approssimativo, oggi lo scultore cerca proprio la somiglianza con il defunto. I parenti vengono ancora a visitare le bare e le ossa e portano loro doni di delizie terrene.

Quando un bambino muore prima di avere i denti, non viene seppellito nelle bare. Un piccolo foro è scavato nel tronco di un grande albero abbastanza grande da contenere il corpo. La madre poi avvolge il corpo in un panno e lo mette dentro. Il buco viene quindi sigillato con la corteccia e mentre l’albero guarisce nel tempo, il tronco dell’albero ne assorbirà il corpo. Il popolo Toraja infatti, crede che lo spirito del bambino cresca con l’albero.

Le cerimonie Toraja però non finiscono qui. Infatti, se si è “fortunati” è possibil assistere al ma’nene, un rito per rendere omaggio agli antenati, che si svolge dopo la raccolta del riso in agosto. I cadaveri vengono rimossi dalle loro tombe, curati e vestiti con abiti nuovi. Alcuni indossano occhiali da sole e jeans, altri abiti di raso bianco delicatamente decorati con perline e orecchini gioiello.

A noi può sembrare strano, ma i Toraja sono completamente a loro agio tra i morti. La morte per loro è molto meno definitiva che per altre culture, è più un passaggio da un luogo all’altro che una fine amara. Non è raro che le persone rimangano nelle case delle loro famiglie per anni dopo la morte. In effetti, è solo al funerale che una persona è considerata morta.

Per secoli i Toraja sono stati praticamente tagliati fuori dal resto del mondo. La loro religione tradizionale, Aluk To’dolo, una combinazione di culto degli antenati, mito e sacrificio animale, che veniva tramandata oralmente. I Toraja credevano che i loro antenati discendessero dai cieli. Dopo un funerale, sarebbero tornati nel regno delle anime nel cielo, noto come Puya.

Nel 1913 i missionari olandesi fondarono scuole a Toraja e la maggior parte della popolazione si convertì al protestantesimo o al cattolicesimo romano. Tuttavia, nonostante la pratica del cristianesimo, i riti funebri Toraja contemporanei, compreso il sacrifico del bufalo, continuano ad essere fortemente influenzati dall’antica religione. “I vecchi rituali non si stanno estinguendo, sono stati integrati nel cristianesimo”, afferma Eric Crystal Rante Allo, esperto di diritto consuetudinario.

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Anna Canuto

Antropologa e Travel Designer

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Valentina approda nel gruppo BluFennec nel 2022, dopo una laurea in Comunicazione e un master in Marketing. Da sempre appassionata di viaggi, ha unito l’amore per la scoperta del mondo e competenza trasformandoli in un lavoro. Si occupa di tutto ciò che è comunicazione online e offline e quando non lavora è probabilmente in giro per il mondo. 

In Gabbiano Livingston dal 2004, Elisa ha visitato diversi paesi africani (Namibia, Botswana, Uganda, Zambia, Kenya, Tanzania, sudafrica), oltre ad altre diverse destinazioni tra i vari continenti, tra lavoro e piacere, e ha fatto proprie le emozioni uniche ed indelebili di viaggi con scenari spettacolari, che cerca  sempre di comunicare attraverso l’entusiasmo, la professionalità e l’attenzione. Traduce e personalizza le aspettative dei clienti e i loro desideri in un sogno indimenticabile. Sempre curiosa ed entusiasta di scoprire nuovi posti, per lei viaggiare è sempre stata una grande opportunità professionale, ma anche un’occasione di crescita per conoscere nuovi scenari e culture, e rappresenta da sempre qualcosa di essenziale e stimolante.

Anna Canuto, dopo la laurea in lingue orientali, inizia a trascorrere lunghi periodi in Egitto per approfondire la conoscenza della lingua e del Paese. Da allora non ha mai smesso di viaggiare per il mondo, facendo della sua passione un lavoro. In qualità di Antropologa e Product Manager del Gabbiano Livingston, ha visitato più di 80 paesi e accompagna i nostri viaggi di gruppo. Si occupa anche di costruire itinerari originali ed esclusivi in tutta l’Asia che ormai è diventata la sua seconda casa. Nel 2007 realizza uno dei suoi più grandi sogni e si laurea in antropologia, portando un grande valore aggiunto ai piccoli gruppi che viaggiano con lei nei luoghi più affascinanti dell’Oriente. 

Chiara, per tanti Gabbianella, folgorata dal sogno dei viaggi in volo, un’idea a tutt’oggi innovativa ed entusiasmante, muove i primi passi nel mondo del turismo affiancando Andrea alla fine degli anni ’90, alla nascita del Gabbiano Livingston. 
Negli anni a seguire, in compagnia di tre figli meravigliosi ha mantenuto viva la passione per il viaggio e per la realizzazione di itinerari su misura, lavorando per 20 anni altrove con la stessa passione per l’esclusività dell’esperienza e l’attenzione per il viaggiatore. Il continente africano è stato per tanti anni l’habitat ideale dove muoversi, aprendosi poi a nuovi orizzonti dove creare itinerari personalizzati con la stessa cura del dettaglio. Il ritorno alle origini con nuovo slancio e determinazione sono state parte di un percorso circolare con al centro: l’amore per la scoperta del pianeta e della vita.

Da sempre curioso ed appassionato viaggiatore, da oltre 30 anni appassionato pilota, Andrea ha coniugato queste due passioni a metà degli anni ’90 inventandosi i viaggi in volo con piccoli aerei da turismo. Prima tra i canyons del Sudovest degli Stati Uniti, quindi sopra i cieli dell’Australia, per poi finire a volare in lungo ed in largo sopra l’Africa, facendo base in Namibia, sua seconda casa. Mai appagato dai tour normali, vive da sempre il volo come strumento affascinante per spingersi oltre, e vivere i grandi contrasti della nostra terra. E così ha portato a termine spedizioni uniche nel loro genere: la trasvolata dell’Africa da Città del Capo al Cairo, la traversata del Sahara da Alessandria d’Egitto a Dakar, la traversata delle Americhe da Ushuaia allo stresso di Bering, e il mezzo periplo del globo dalla Namibia a Tahiti. Questa sua passione per percorsi inusuali la mette a disposizione di tutti coloro si affidino a Il Gabbiano Livingston per realizzare itinerari su misura, sempre attento ad ascoltarne e capirne le esigenze ed aspettative per cucir loro addosso l’esperienza di viaggio ideale.